Chiara Del Core 13 feb 2020 approfondimento 0 commenti
Anamorfosi: dal declino ai giorni nostri

La tecnica dell’anamorfosi trova piena affermazione nel corso del 1500 e 1600 grazie al particolare effetto di magia e mistero in grado di ricreare in coloro che osservano le opere interessate dalla stessa. Lo spettatore infatti, prova stupore e sorpresa nel momento in cui elabora un’immagine nuova e diversa da quella vista poco prima. Tuttavia, si tratta di uno stratagemma che nasconde in sé innumerevoli studi e pratiche realizzative molto complesse. Per questo motivo, negli anni che aprono il secolo successivo, si registra un progressivo declino dell’anamorfosi e il successivo abbandono dovuto anche al poco interesse per la spettacolarizzazione dell’arte e dell’architettura, in questo periodo più legate all’eleganza formale. È solo con il trascorrere di svariati decenni che quest’antica tecnica viene riscoperta destando l’interesse di molti studiosi ed artisti. Oggi l’anamorfosi ed i giochi prospettici sono sfruttati nel campo del marketing e della comunicazione, in quello artistico della street art e nello studio della psicologia percettiva secondo la quale la realtà colta viene prima filtrata dal cervello. Inoltre, con la diffusione della digitalizzazione grafica e di specifici software, è possibile “snellire” il processo di realizzazione delle anamorfosi a partire da semplici immagini che vengono trasformate in breve tempo.

L’attuale scopo dei giochi prospettici utilizzati in arte ed architettura è il medesimo di quello originario: creare illusioni ottiche spaziali in grado di sorprendere l’osservatore. Per ottenere ciò è necessario colpire e restituire sensazioni forti, rendere possibile ciò che sembrerebbe impossibile, anche solo per pochi minuti. Numerosi sono gli esponenti della street art moderna (Alex Chinneck, Kurt Wenner, Julian Beever) che riproducono con raffinata maestria architetture dipinte su grande scala. Si tratta di opere bidimensionali ma in grado di dare l’effetto realistico della tridimensionalità e della profondità. Attraverso la prospettiva fisica, materiale e scultorea ciò che non è, diventa e il pubblico viene trasposto per qualche attimo in una dimensione illusoria. Ne è un esempio celebre, la Dalston House di Leandro Erlich ad Hackney, un’opera singolare che ha riscosso un grande consenso tra coloro che l’hanno visionata. È stata qui ricreata la facciata di una casa vittoriana sul pavimento ed è stata inserita una superficie riflettente sovrastante. Il risultato è molto suggestivo: il visitatore che si trova vicino alla casa riprodotta sul piano di calpestio, sembra interagire attivamente con la sua facciata.


Dalston House ( Photography:Gar Powell-Evans )

Per quanto riguarda l’architettura contemporanea e come in essa trovino impiego i giochi prospettici, è importante chiarire alcuni principi che ne stanno alla base. Si diffonde progressivamente il concetto di creatività che supera il rigido rapporto forma-funzione in favore di soluzioni simboliche ed illusorie, finalizzate a far scaturire nell’osservatore stupore e sorpresa. È così che la sfera visiva ed emotiva trova la sua maggiore affermazione e l’opera architettonica si svela strumento attraverso il quale viene messo in discussione il senso comune. Quelli che sono considerati da sempre i pilastri intoccabili della disciplina architettonica vengono rivisti, vengono rivisitate le regole e le pratiche consuete per dare spazio a soluzioni originali grazie alle quali si provano sensazioni inaspettate.

Negli anni 80 del XX Secolo, vengono approfonditi gli studi sullo spazio, prima considerato omogeneo e regolare ed ora frammentato. Si tende ad abbandonare il senso classico dell’armonia e della grazia, in favore di principi quali l’eccesso, l’ambiguo, lo smisurato. Si tratta di un’estetica del fantastico volta a stimolare sensazioni sorprendenti molto simili a quelle prodotte dalle passate realizzazioni anamorfiche. Si assiste al progressivo fiorire degli studi sulla morfogenesi e su nuove e complesse prospettive. L’opera architettonica talvolta, causa nuovi sentimenti come il caos e lo smarrimento nell’osservatore. Anche grazie alle tecniche innovative, viene facilitata la realizzazione di manufatti architettonici che scardinano le regole geometriche consolidate e deformano i piani. La differenza dal passato sta nelle tempistiche: mentre l’applicazione della tecnica anamorfica un tempo richiedeva studi e complicati processi realizzativi, ora attraverso pochi passaggi è possibile trasformare gli elementi del progetto architettonico secondo svariate visioni prospettiche. Per citare solo alcuni degli architetti che sono ricorsi a questo tipo di principi “sovversivi”, si annoverano Zaha Hadid, Peter Eisenman e Daniel Libeskind, che hanno operato attraverso processi geometrici complessi molto simili a quelli diffusisi nel corso del XVI e XVII Secolo. Tramite la distorsione e la deformazione viene di nuovo messa in discussione la regolarità delle forme e così lo spazio viene interpretato secondo una nuova chiave di lettura.

Le nuove architetture generano la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di insolito e sconosciuto ma che allo stesso tempo, rende possibile l’insperato. Ne è un esempio il Vitra Fire Station di Will am Rhein datato 1990-93, che definisce l’ascesa di Zaha Hadid e rappresenta una delle più celebri realizzazioni del movimento decostruttivista. Alla base del progetto si collocano i principi di geometria pura e di completa assenza dell’ornamento. Ciò che rende l’opera innovativa, consiste nella deformazione dei piani che vengono sovrapposti e collocati nello spazio, rovesciando il regolare ordine compositivo. Prevale l’uso di superfici inclinate ed incastrate, concepite ciascuna secondo autonome linee di fuga. L’unico materiale utilizzato è il cemento armato che restituisce alla composizione un aspetto austero e puro, esaltandone la particolare collocazione degli elementi ed il rapporto che intercorre tra essi.


Vitra Fire Station - vista prospetto esterno 

La pensilina svetta acuta nel cielo, mentre le tre solette centrali sembrano cadere da un momento all’altro per il loro andamento obliquo. Si tratta di forme geometriche basilari che affermano la loro unicità e complessità nella disposizione spaziale e possono essere osservate da svariati punti di vista. Quello che è certo è che l’architetto contribuisce qui a dare una precisa identità al luogo, attraverso l’esperienza percettiva che si prova quando lo si visita.
 

Per quanto riguarda l’applicazione dei principi geometrici e dei giochi prospettici, considerati su scala urbana, un esempio che va ricordato è il Robstockpark di Peter Eisenman. Situato a Francoforte e realizzato nel 1992, viene concepito attraverso un’attenta rivisitazione geometrica, plasmata sulla conformazione del luogo e sulle necessità del momento.


Foto https://nuriterzi.wordpress.com/2019/04/15/diagrammatic-architecture-deleuzian-fold/ 

Il progetto infatti, viene realizzato servendosi del modello della griglia prospettica, qui modificata e distorta al fine di ottenere un risultato innovativo. Tale soluzione può essere paragonata ad un vero e proprio stratagemma anamorfico, poiché solo se osservate da un particolare punto di vista, le linee sbieche della distribuzione volumetrica appariranno perpendicolari. In questo modo l’osservatore viene stimolato ad analizzare il rapporto che intercorre tra le singole parti che compongono il progetto, piuttosto che l’assetto nella sua totalità. L’elemento che definisce la personalità fisica del Rebstockpark è la piega. Grazie a questa scelta, l’assetto urbano viene modificato e permette una riformulazione dell’organizzazione spaziale, destando particolare interesse per il suo aspetto non convenzionale.


Concept di progetto – studi su griglia geometrica Planimetria di Rebstockpark
Foto https://eisenmanarchitects.com/Rebstockpark-Masterplan-1992

Nonostante la scelta audace di non seguire i principi classici della progettazione urbanistica, l’assetto rivela coesione e fluidità compositiva grazie alla concezione di “tessuto urbano totale e modificato”. Gli elementi naturale, costruito e residuale si aprono e si distribuiscono secondo ordine e continuità. È così che anche in questo esempio di attento studio urbanistico, le regole classiche vengono scardinate per lasciare posto ad un’alternativa apparentemente distorta ma in realtà funzionale ed innovativa.
 

Un terzo esempio di architettura in cui vengono adottati stratagemmi di illusione percettiva, è rappresentato dal Museo Ebraico di Daniel Libeskind ultimato nel 1989 e situato a Berlino. (vedi il progetto in dwg qui)
Gli elaborati grafici rivelano come il concept progettuale si manifesti in una stratificazione di piani in cui, poiché il punto di vista non risulta essere unico e definito, si crea un’iniziale incomprensione. Qui il rapporto tra edificio e significato nascosto è fortissimo: la composizione architettonica si plasma sulle ragioni storiche e celebrative che ne stanno alla base.

   
Planimetria e vista interna del museo
Foto dx: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Jewish_Museum_Berlin_02.JPG

Il Museo Ebraico, riproduce la forma della stella di David ed è costituito da geometrie scomposte, spazi interrotti e materiali freddi ed industriali. Le due aree funzionali vengono distinte attraverso forma e scelte compositive: lo spazio espositivo è caratterizzato da un andamento sinuoso, attraversato da una linea longitudinale che lo taglia ricreando spazi concavi ed inaccessibili, simbolo del vuoto lasciato dall’Olocausto. In posizione adiacente si trovano una torre cava ed un giardino dove alcuni volumi prismatici che racchiudono al loro interno degli alberi, rappresentano il concetto di libertà negata. Tali significati e messaggi racchiusi in quest’opera, vengono svelati nelle annotazioni che accompagnano i disegni e gli scritti trasmessi da Libeskind, ma non solo. Infatti, nel momento in cui si attraversano tali spazi, i percorsi continui trasmettono la sensazione di un incedere lento ma privo di vie di fuga e il passaggio repentino dal buio alla luce e dal freddo al caldo ricorda l’incertezza dell’esistenza umana. Ancora una volta, l’architettura stupisce e come nel processo anamorfico, svela la realtà.

Differentemente dai processi anamorfici rinascimentali, che in maniera più tangibile, attraverso un’immagine distorta o una falsa architettura, rendevano labile il confine tra finzione e realtà, nell’architettura contemporanea vengono utilizzati metodi talvolta più “esperienziali” per svelare scopi e messaggi concreti.

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