Archweb .com 24 ott 2021 BIM news 0 commenti

Quando nel BIM (Building Information Modeling) si parla di interoperabilità si intende la possibilità di far confluire in un unico progetto centralizzato elementi e informazioni provenienti da discipline, competenze, figure professionali e strumenti software diversi.

All’interno di uno stesso modello tridimensionale composto di elementi parametrici, assieme al progetto architettonico, possono trovare spazio anche gli apporti di altre discipline redatti ad esempio da ingegneri strutturisti, impiantisti, arredatori e altri professionisti, anche se non usano tutti gli stessi applicativi software.

Com’è facile intuire, il maggior vantaggio di questo approccio collaborativo sta nel non dover convertire e importare modelli solo geometrici e ripetere l’operazione per ogni modifica di ogni professionista coinvolto nel processo. Questo riduce non solo il carico di lavoro, ma soprattutto la possibilità di errori, senza considerare il fatto di lavorare tutti su un modello più ricco di informazioni rispetto a degli elaborati geometrici 2D o 3D.

Altro vantaggio non da poco è la possibilità di portare avanti lo sviluppo di diversi aspetti progettuali contemporaneamente, dialogando e ottemperando alle diverse esigenze specifiche delle diverse discipline coinvolte.

La condivisione digitale dei dati del BIM apre le porte della progettazione collaborativa.

Il primo step può essere quello di lavorare in più persone dello stesso studio su un unico progetto, in un unico file condiviso in rete, utilizzando tutti la stessa applicazione BIM per la progettazione. È molto più semplice e proficuo rispetto a lavorare su files separati, relativi a diverse parti di progetto, che poi andranno uniti assieme in un file di insieme.

Ad esempio, quando almeno una parte del progetto ha raggiunto una sufficiente definizione architettonica, un altro collaboratore può cominciare qui lo studio dell’arredo, o degli impianti utilizzando il modulo Mep del software adottato dallo studio, o raffinare altri dettagli.

Serve un minimo di organizzazione interna e la definizione di alcuni standard comuni (organizzazione di lucidi, penne, ecc.), ma non è niente di nuovo, si tratta di buone pratiche che andrebbero definite comunque, anche per poter mettere assieme facilmente i “pezzi” provenienti da files distinti nel file del progetto completo.

Questa è collaborazione, va benissimo ed è certamente efficiente, ma non è ancora interoperabilità, perché tutti i professionisti coinvolti stanno usando lo stesso software e quasi sicuramente anche il suo formato file proprietario.

Quindi non ci si pone il problema di un linguaggio comune di interscambio tra piattaforme diverse, ma si sfruttano comunque tutte le altre potenzialità della progettazione BIM dell’applicazione in uso. Difficilmente un’unica applicazione si presterà bene a tutte le branche della progettazione civile, ma in molti casi può essere più che sufficiente allo sviluppo richiesto dal progetto.

In questo modo si può già pervenire ad un buon grado di ottimizzazione dei processi, che in un settore molto frammentato come quello delle costruzioni non è cosa di poco conto.

L’interoperabilità del BIM consente la comunicazione tra software diversi attraverso un unico formato di scambio, per favorire la collaborazione senza perdita di informazioni.

Se all’interno dello stesso studio si utilizzano programmi diversi per la progettazione strutturale, quella impiantistica, l’analisi energetica, il computo metrico estimativo, ecc., si possono studiare  e definire delle procedure standard per passare i dati geometrici o numerici dal progetto architettonico alle altre lavorazioni più specifiche, cercando il miglior compromesso possibile.

Certo che se i programmi potessero già parlare tra di loro usando una lingua comune, sarebbe tutto più facile e magari si potrebbero raccontare anche più cose.

Quando questo “dialogo” non contempla solo la geometria piana, o solida, o solo tabelle, ma si ragiona per elementi parametrici (muri, pilastri, solai, porte, finestre, impianti, arredi, ecc.) con tutte le informazioni che ad essi si sono volute associare (materiali, strati, trasmittanza, resistenza al fuoco, prezzo, periodicità di manutenzione, ecc.). A questo punto si può parlare di interoperabilità.

Se all’interno dello studio ci si può parlare e accordare tra colleghi, tra studi diversi è ovvio che le cose si complicano e quindi un formato comune di interscambio facilita molto tutti i processi di collaborazione.

Tutto ciò si può ottenere utilizzando lo standard aperto IFC (Industry Foundation Classes) e il BCF (BIM Collaboration Format), un formato anch’esso definito da buildingSMART International, per facilitare le comunicazioni aperte e migliorare i processi basati su IFC.
   

0 Commenti:
Nessun commento inserito
Lascia un commento
Per inserire un commento devi effettuare l'autenticazione
Condividi sui social
Categorie
pagine correlate
Blocchi cad consigliati

Aggregazioni residenze 03

DWG

Aggregazioni residenze 05

DWG

Case a schiera 4

DWG

Case a schiera 17

DWG
Archweb correlati