Sappiamo che riscaldamento degli edifici civili incide parecchio sull’inquinamento.
Anche il famoso bonus del 110% punta a ridurre consumi ed emissioni, in particolare nelle abitazioni costruite negli anni del boom edilizio e che oggi rappresentano una parte consistente del nostro patrimonio residenziale. Tuttavia è meno frequente sentir parlare del consumo energetico che interessa il ciclo di produzione degli edifici e dei materiali da costruzione. Anche se gli edifici non si smaltiscono con la frequenza degli elettrodomestici, bisogna comunque ragionare sul loro intero ciclo di vita e sul consumo energetico che questo comporta. Per questo è importante partire dalla produzione dei materiali, dall’energia, dalle fonti utilizzate per ricavarla e dalle emissioni che già questa comporta.
Il legno è l'unico materiale da costruzione che si produce usando l'energia del sole.
L’albero sfrutta l’energia del sole e le risorse del terreno per crescere, contestualmente rilascia ossigeno e assorbe biossido di carbonio. L'epilogo naturale della vita dell'albero prevede che muoia, si secchi, cada e marcisca, o in qualche caso bruci, restituendo comunque dell'anidride carbonica all'atmosfera e al suolo. Se però si taglia l’albero quando raggiunge la sua piena crescita e ci si fanno delle travi che poi si mettono in opera in una casa, l'anidride carbonica viene come congelata al loro interno, non si disperde nell'ambiente e, come le capriate palladiane, può rimanere lì per diversi secoli.
Un metro cubo di legno può imprigionare una tonnellata di CO2.
Forse il legno non sarà la bacchetta magica (che Harrry Potter ci insegna essere normalmente lignea), ma potrebbe a buon titolo diventare parte della soluzione, perché può ridurre le emissioni, blindare la CO2 per anni e anche produrre ossigeno mentre si sviluppa, soprattutto durante la fase di crescita dell’albero, quando il bosco è ancora giovane.
Gli edifici in legno potrebbero rappresentare un tassello (altra parola che rimanda tipicamente al legno) nell'attenuare il problema multifattoriale e multidimensionale dell’inquinamento atmosferico. Per questo motivo Michael Green e l’ingegnere Erik Karsh hanno pensato di realizzare edifici in legno di 30 piani, sfruttando una tecnologia che hanno chiamato Mass Timber Panels. Chissà se qualche ricerca ha mai evidenziato quali accezioni vengono attribuite al legno nei proverbi e nella cultura popolare, già il fatto che i villaggi si mettessero a “ferro e fuoco” fa pensare che l’acciaio se la passi peggio.
Si tratta di grandi pannelli di vario spessore generati da alberi giovani, non di grossa stazza, né di particolare pregio.
Durante il TED, il sistema costruttivo viene spiegato rifacendosi ai Lego, parlando dei mattoncini che tutti conosciamo e paragonando i pannelli di legno ai pezzi di Lego più grandi. Questi pannelli di circa 50 mq vanno a costituire il sistema ideato dall’architetto canadese che prende il nome di FFTT e si tratta di una soluzione Creative Commons (quindi non coperta da brevetto esclusivo, ma utilizzabile liberamente) per assemblare la struttura degli edifici in modo molto flessibile e con grande rapidità di esecuzione, come mostra l’animazione presentata durante la conferenza.
Il progetto è pensato per un edificio di 100 metri di altezza a Vancouver, una città che vanta anche un discreto rischio sismico, ma il progettista lo dichiara essere adatto a qualsiasi contesto e soluzione stilistica.
L’esposizione di Green prosegue fugando i dubbi più comuni legati alle costruzioni in legno, come il rischio di incendio e il taglio degli alberi necessari. La cosa più interessante è proprio legata alla necessità di avere alberi, il che porterebbe a rivalorizzare questa coltura, a investire in boschi giovani e a tagliarli consapevolmente, ponendo un freno alla deforestazione a scopo agricolo che affligge ad esempio l’Amazzonia. L’impronta di carbonio di questo tipo di tecnologia costruttiva è decisamente vantaggiosa rispetto a quelle tradizionali, soprattutto ragionando nell’ottica di un futuro incremento demografico e di residenza urbana.