Fontana di Clemente XII (Porta Furba), Roma
Storia e architettura di una piccola meraviglia romana
Tra gli archi dell’Acquedotto Felice e la storica Porta Furba, la Fontana di Clemente XII racconta una Roma dimenticata ma ricca di fascino. Realizzata nel 1733 e attribuita a Luigi Vanvitelli, è un raffinato esempio di equilibrio barocco tra funzione e bellezza. Questo articolo che anticipa la galleria fotografica ne ripercorre la storia, l’architettura e il legame profondo con l’acqua e la città.
Un po’ di storia
La prima sistemazione idraulica dell’area risale al 1586, quando Sisto V promosse la costruzione dell’Acquedotto Felice per riportare l’acqua nelle zone orientali di Roma. L’ingegnere e architetto Domenico Fontana progettò un sistema di mostre e fontane lungo il tracciato, tra cui anche quella di Porta Furba, destinata a diventare uno dei punti di distribuzione locale dell’acqua.
Più di un secolo dopo, nel 1733, il luogo fu completamente ridisegnato durante il pontificato di Clemente XII Corsini, che volle restaurare e nobilitare il vecchio manufatto. L’intervento, come recita l’iscrizione dedicatoria ancora visibile, fu realizzato sotto la direzione di Felice Passerini, presidente delle acque pontificie. L’attribuzione del progetto è incerta: molte fonti indicano Luigi Vanvitelli come autore del disegno, mentre altre menzionano Francesco Bianchi. In ogni caso, il risultato è un raffinato esempio di equilibrio tra monumentalità e misura, tipico della Roma settecentesca.
Architettura e simboli
La fontana si presenta addossata a una parete in laterizio, scandita da pilastri bugnati che incorniciano un ampio arco superiore. Al centro, un grande mascherone alato, dalle sembianze quasi fantastiche, versa l’acqua in una conchiglia scolpita; ai lati, due cannelle aggiuntive completano il getto che scende nella vasca sottostante. Il fronte è interamente rivestito in travertino, mentre il basamento, con i suoi cinque gradini, crea un piccolo sagrato d’acqua che invita alla sosta.
Sopra l’arco campeggia lo stemma della famiglia Corsini, con le tre fasce e i gigli di Francia, sormontato dalla tiara papale. L’insieme è sobrio ma di grande eleganza, e si inserisce armoniosamente nel paesaggio urbano, dominato dall’imponente sequenza di archi dell’Acquedotto Felice.
L’iscrizione e il significato
L’epigrafe incisa sul fronte della fontana recita:
CLEMENS PAPA XII / FONTEM AQVAE FELICIS / IAM DIU COLLAPSVM / PVBLICAE RESTITVIT COMMODITATI / FELICE PASSERINO C.A.C. / ET AQVARVM PRAESIDE / ANNO DOMINI MDCCXXXIII.
La traduzione italiana suona così: Papa Clemente XII restituì all’utilità pubblica la fontana dell’Acqua Felice, da lungo tempo rovinata, essendo Felice Passerini C.A.C. e presidente delle acque, nell’anno del Signore 1733.
Un messaggio chiaro, che celebra l’attenzione del pontefice verso la manutenzione delle infrastrutture urbane e la cura del bene pubblico, in continuità ideale con l’opera di Sisto V.
Un dialogo con la città
La Fontana di Clemente XII, nota anche come Fontana di Porta Furba o Fontana Bella, fa parte di un sistema più ampio di mostre d’acqua collegate all’Acquedotto Felice. Insieme alla celebre Fontana del Mosè di Piazza San Bernardo, rappresenta uno dei capisaldi della rete idrica settecentesca di Roma. La sua posizione, proprio sotto l’arco di Porta Furba, crea un dialogo visivo suggestivo tra architettura, ingegneria e paesaggio urbano.
Ancora oggi, nonostante il traffico e le trasformazioni del quartiere Tuscolano, la fontana conserva un fascino discreto e malinconico. È un frammento di Roma autentica, dove il tempo sembra essersi fermato e dove si può leggere, in filigrana, la lunga storia del rapporto tra acqua e città.
Per chi vuole visitarla
- Indirizzo: Via del Mandrione 449 / Via Tuscolana, Roma
- Accesso: libero, visibile 24 ore su 24
- Zona: Porta Furba – Tuscolano
In sintesi
Un piccolo gioiello barocco, nato da un acquedotto rinascimentale e restaurato nel pieno del Settecento, la Fontana di Clemente XII è una testimonianza preziosa di come la funzionalità possa convivere con la bellezza. Fotografarla significa catturare un frammento di quella Roma nascosta che continua, silenziosamente, a raccontare la propria storia attraverso la pietra e l’acqua.
Fotografie scattate a settembre 2020